DOPO LE MAREE ULTIME

Allievo alla Scuola Libera del Nudo, e appassionato studioso della Metafisica, Tulliach non perde l´occasione per osservare, capire, penetrare la pittura dei Sei di Torino; in particolare cerca di cogliere le più vivide istanze di Casorati, ancora oggi suo punto di riferimento. Ma poi, giorno dopo giorno, il pittore istriano dà una propria configurazione al suo dettato poetico, fino ad elaborare un linguaggio figurativo costituito intorno al simbolo, che finisce per assumersi il ruolo dominante all´interno della ricerca creativa impostata. Nel tracciato pittorico costruito con l´ausilio di una segnica sempre limpida, che in certi casi non rinuncia all´essenzialità di una certa tradizione metafisica, si innestano le riflessioni di un uomo che continuamente si interroga sul proprio essere nel mondo. Il risultato di questa indagine è spesso pessimistico poichè, secondo l´artista, non può essere che così, vista l´attuale situazione esistenziale in cui il depositario dell´antropocentrismo si dibatte tra incertezze e mete mai raggiunte.
Ecco un frammento del manifesto pittorico di Tulliach che ci pare possa indicare lucidamente le scelte perseguite dall´artista: "saremmo paghi se con le nostre opere potessimo ricordare all´uomo la brevità e la caducità della sua esistenza, quanto è precario oggi l´equilibrio che tiene in vita l´uomo e la natura; come un banale incidente in una centrale nucleare possa trasformare la Terra in un totale deserto e far sì che di ogni forma di vita non rimanga che qualche residuo osseo".

...C'è quindi un velo di pessimismo che pervade queste opere, una coltre di morte destinata a farci riflettere, a porre continuamente in discussione la caducità del nostro essere. Spiagge anonime, senza segni di vita, diventano così il palcoscenico drammatico in cui scheletri animali, legni macerati dall´acqua, conchiglie e oggetti senza più nè tempo nè luogo, recitano il loro copione inquieto nel teatro dell'assurdo della nostra esistenza. Un'esistenza cieca di vita, incapace di cogliere i riverberi più autentici che, anche banalmente forse, sanno dare un senso alla nostra cultura. Ma a guardare sempre in alto si finisce per perdere di vista quanto sta in basso, che spesso potrebbe essere una precisa indicazione dei nostri limiti e della nostra caducità.

...Le tracce di civiltà che ormai hanno perduto anche il fascino romantico dell´archeologia, diventano per Tulliach oggetto di meditazione, strumento visivamente penetrante, per meglio mettere a fuoco le prerogative della sua inquietudine capace di elevarsi a poesia. I frammenti di mondi ormai abbandonati al gorgo delle memorie, risultano ulteriormente drammatici poichè l´artista, oltre al loro specifico signicato formale di reperti, li devasta maggiormente con calibrate operazioni pittoriche, destinate a ferire il volto di culture già uccise dal tempo e dagli uomini.

Il topos drammatico che pare governare il viaggio pittorico di Tulliach, trova nei segni di un mondo ormai scomparso, delle opportunità per porre in luce quel velo di angoscia destinato a tormentare da sempre le incertezze compagne del nostro essere "solo" uomini... Uomini che si rivedono in quei legni antropomorfi adagiati su una spiaggia senza nome, che arrancano alla disperata ricerca di una propria identità, ma soprattutto di un orizzonte vero. Forse quello spazio improbabile si cela dietro violenti amplessi cromatici di cieli carichi di tempo, trafitti dal verseggiare del vento o dai dirompenti urli dell´uragano. E nei gorghi creati dalla scia del nostro incedere verso una dimensione ultima, si dibattono spettri e figure senza volto, creature un giorno simili all´antropoide più evoluto, e oggi ridotti ad eterni segni della fine. Una fine che Tulliach ci annuncia con una pittura spesso drammatica, vivificata da una luce propria, che richiama i modi escatologici di una cultura incerta, ribelle alle imposizioni di un logos incapace di sfuggire al peso delle paure che ci travolgono da sempre. E così quei mondi forse tremendi che Tulliach trova il modo di narrarci, in effetti provengono dai gorghi delle memorie ancestrali, che spesso liberano i loro spettri per farci sentire ancora più piccoli. Ancora più fragili. Incapaci di scorgere una luce che abbia saputo sottrarsi alle lusinghe del buio.

Massimo Centini .